Se il Crocifisso viene messo ai voti…
Il 9 settembre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – l’istanza più alta della giurisdizione italiana– hanno sentenziato, dopo una battaglia legale durata dodici anni, che “il crocifisso a scuola non è un atto di discriminazione”.
Alla buon’ora, almeno a prima vista. Invece no. La lettura della sentenza è sconcertante, un passo ulteriore verso il più totale relativismo culturale, nonché l’intrusione obliqua – l’ennesima – del potere giudiziario nell’ambito del potere legislativo. La Suprema Corte (si dice così…) ha sentenziato che “la circolare del dirigente scolastico, consistente nel puro e semplice ordine di affissione del simbolo religioso, non è conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante”.
No, non è l’espressione di valutazioni sul modello di società o di principi educativi che si chiede ad un organo giudicante, ma di decidere secondo legge. La Corte, infatti, ha predisposto la trappola con un ragionamento fintamente pilatesco, in realtà un esercizio di relativismo morale e valoriale che deve restare estraneo a un organo giurisdizionale. Così scrive testualmente:” l’’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso cercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi.”
Per la Cassazione, il Crocifisso va messo ai voti, tutt’al più esposto in una fiera dei simboli, un gadget tra gli altri. Quale “accomodamento”, poi, se la sentenza riconosce che “il crocifisso rappresenta l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”. Perché mai, dunque, andrebbe equiparato ad altri simboli religiosi che poco o nulla hanno a che vedere con la storia e l’identità italiana?
E perché dovrebbe essere ciascuna comunità scolastica, magari sulla base di pressioni, pretese arroganti o minacce, a scegliere se mostrarlo o meno? Il crocifisso, al di là di ogni considerazione confessionale, non si mette ai voti. La volta in cui accadde, una maggioranza facinorosa scelse Barabba…
Siamo di fronte all’ennesimo caso di relativismo culturale, con l’aggravante di provenire da un pulpito – la Cassazione a sezioni riunite- che fa giurisprudenza. Bene per la decisione sulla permanenza del simbolo di duemila anni di fede e civiltà, ma la questione di fondo resta irrisolta. Esortano, obbligano al dialogo come panacea di ogni problema, ma per dialogare con altre culture bisogna innanzitutto sapere chi siamo noi. Per accogliere, dobbiamo prima difendere e rivendicare le nostre radici. Questo deve insegnare la scuola, senza manipolazioni e senza fughe in avanti.
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