LA CAPORETTO DEI MUNICIPI
Quando perdi in tutte le città più importanti, salvando in extremis solo la più piccola- Trieste- significa che hai perso per davvero. Non è colpa del destino cinico e baro e neppure degli elettori, a cui certi dirigenti politici sembrano attribuire la sconfitta. La questione è ben più seria e non è nuova; esiste da quando il centrodestra si è costituito come coalizione. Le elezioni comunali sono non il tallone d’Achille, ma la periodica Caporetto di una coalizione che, nell’anno 2021, anno II del Covid, c’è e non c’è. Un pezzo – quello centrista, liberale e di sistema – si è felicemente accasato con la sinistra nel governo Frankenstein del gran visir dei poteri forti. Un altro pezzo un giorno è governativa e l’altro promette sfracelli che non avverranno mai. Solo la destra tiene botta e avanza: è la verità, ma la consolazione è magrissima.
Siamo sinceri: si sono accorti, gli elettori delle grandi città, della presenza del centrodestra? I loro candidati hanno dato battaglia, mostrato un progetto di città? Per vincere la lotteria, bisogna almeno comprare il biglietto. Il centrodestra, ancora una volta, non lo ha fatto: candidature debolissime, frutto di accordi al ribasso dell’ultima ora. Brave persone, seri professionisti, “civici”, moderatini con la giacca e la cravatta intonata. Si può dire, senza offesa, sotto il vestito niente? Personalità sconosciute mandate allo sbaraglio contro ex ministri o amministratori di lungo corso.
Qualcuno ha battuto un colpo solo per accusare gli alleati di scarso sostegno finanziario: imbarazzante. Figure di aspiranti sindaci apparsi piuttosto kamikaze da sacrificare. Nessuno dei pezzi grossi di centrodestra ha dato battaglia candidandosi personalmente. C’è da lavorare tutti i giorni, risolvere problemi concreti sotto lo sguardo di tutti: è dura.
All’elettore è stato offerto un surrogato opaco, inodore, insapore. La regola è antica: alla copia si preferisce l’originale. Non si è tentato neppure per un attimo di entrare nel merito dei veri problemi della gente. 320mila partite Iva perdute dall’inizio della pandemia, posti di lavoro svaniti, una crisi energetica che rende sempre più pesanti la bollette. Soprattutto, nessun tentativo di interloquire, almeno comprendere le ragioni dell’opposizione sociale che si è cristallizzata attorno all’obbligo del pass verde. Sarebbe bastato una breve navigazione sui siti d’area per capire l’aria che tira nella destra che pensa, allarmata per la perdita di libertà e il regime di sorveglianza poliziesca e digitale sempre più soffocante. Di partecipare alle manifestazioni – anche solo per guardare la gente in faccia –nemmeno a parlarne: eppure ci sono tante facce amiche e si leva un grido di libertà che dovrebbe essere la bandiera della destra.
Libertà concrete, non quelle di Confindustria e della borghesia grassa che sguazza nella democrazia sospesa nelle mani di Draghi, l’uomo che ha svenduto l’Italia sul panfilo Britannia e sta terminando l’opera. Intanto, la polizia della Lamorgese e di Draghi – imbelle contro clandestini, delinquenti, organizzatori di rave party e provocatori conosciuti da decenni – picchia selvaggiamente lavoratori italiani onesti a Trieste e altrove. Legge e ordine, se la legge è ingiusta e l’ordine è quello di chi ci odia?
Infine, i due dati paradossalmente positivi della tornata elettorale: il primo è la fine – o meglio la sospensione – dell’emergenza antifascista contro un nemico inesistente, a cui è stata opposta una difesa debolissima, impaurita, presagio di sconfitta. L’altro è la partecipazione dei cittadini: il primo turno si è chiuso con un italiano su due assente. Al secondo, partecipazione attorno al 40%. E’ un fatto drammatico, ma favorevole a chi vuol cambiare le cose, il segno che un numero sterminato di italiani non ha fiducia in nessuno degli attori politici. Vota solo chi ha interesse – l’esercito di chi si aspetta qualcosa dal potere – e le curve delle opposte tifoserie. Inutile lamentarsi se quella avversaria è più fidelizzata e digerisce qualunque figuro, purché anti destra. E’ risaputo da decenni e le terapie sono programmi chiari, facce conosciute e pulite, parole nette. Non è per consolarsi a buon mercato, ma sconfitto è il centro paludoso e balbettante. Sconfitto è chi non sa se servire il Drago o stare a fianco del nostro popolo. Sconfitta è la destra quando non fa la destra, quando non partecipa alla contesa, quando nasconde i suoi principi o peggio li nega. Perdere per perdere, meglio combattere a testa alta con le proprie idee e con la propria gente.
Questo è tutt’altro che sfilarsi dalla coalizione: è la voglia matta di guidarla, di andare all’attacco, di dare battaglia sui principi, sui valori, sui programmi, con gli uomini e le donne migliori. Nel 2023, se lorsignori ce lo concederanno, ci saranno le elezioni politiche, con un sistema elettorale che potrebbe favorirci. La destra decida di andarci con le sue forze, le sue idee, guida, motore di una coalizione che non si proponga di essere solo l’amministratrice delegata dei fondi europei (che sono soldi nostri) e il braccio secolare dei poteri finanziari, dei signori della sorveglianza e dei divieti, dei nemici della libertà, e brandisca la bandiera della sovranità: nazionale, popolare, economica, finanziaria, cioè democratica.
Dopo Caporetto, venne Vittorio Veneto, ma cambiarono i comandanti sconfitti e le strategie. L’alternativa è restare per un’altra generazione i perdenti designati, l’opposizione di Sua Maestà, la foglia di fico di un potere non avversario, ma nemico.
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